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Haridwar Rishikesh Himalaya - Diario 20 settembre 2018

L'ARTE DI LASCIAR ANDARE

Non sempre le cose nella vita vanno “come vogliamo noi”, perché “come vogliamo noi” non è detto che sia “il meglio per noi”. È un concetto sottile che va interpretato attraverso l’esperienza e l’osservazione di sé. Ci sono momenti in cui ci aggrappiamo alle aspettative, e ci ostiniamo a fare in modo che le cose vadano proprio come ci dice la mente, nella modalità che noi ci aspettiamo. Ma non è detto che ciò avvenga.

Ora, se l’aspettativa (o desiderio) è accompagnata da attaccamento, quando essa non è soddisfatta, nasce la rabbia. La rabbia è l’origine della confusione della mente (in Ayurveda la mente nel suo insieme si chiama sattva) che induce il soggetto a perdere la connessione con il sé, essendo così riagganciato al ciclo di nascite e morti ripetute (samsara). Questo concetto è spiegato molto bene nella Bhagavad-gita - Capitolo II, versi 62-63 - laddove Krishna fornisce una descrizione precisa della genesi della confusione cognitiva ed emotiva del soggetto. Di fatto l’origine di tale confusione risiede proprio nell’attaccamento. Badate bene che questo concetto ci può apparire chiaro dal punto di vista razionale, ma possiamo comprenderlo davvero soltanto sperimentandolo. Riprendendo la mia riflessione di ieri, 19 Settembre, le tre persone che ho citato, il Prof. Pandey, Lalima e la Dr.ssa Mishra, sono stati di grande aiuto proprio per capire questo concetto e come affrontare gli eventi che non si indirizzano esattamente nella direzione da noi desiderata. Il saggio non è turbato, accoglie, comprende, si pone in modalità produttiva costruisce, non distrugge. Se è il caso resta in silenzio, mette davanti il rispetto dei valori e delle persone. Per l’Indiano questa è la caratteristica base della personalità, che deriva da millenni e millenni di cultura, che ha portato il subcontinente indiano ad essere invaso da numerosi aggressori stranieri (gli ultimi gli inglesi), che hanno in parte distrutto, modificato e cambiato usanze straordinarie e di profondo significato spirituale, sociale, psicologico. Ad una prima lettura questo potrebbe apparire come un’attitudine che indica debolezza, arrendevolezza, come un non lottare per i propri diritti o principi, o visioni. Ma non è così! Il distacco emotivo non è in contraddizione con il rigore, con la determinazione, con l’atto volitivo, anzi ne costituisce il fondamento portante, perché il centro dell’esperienza è il contatto con il sé, nel cammino verso moksha. Lì, in quello stato mentale, quando ci si allontana dai pensieri disturbanti, dalla rabbia invalidante, si acquista il pieno recupero delle proprie facoltà interiori, questo dona lucidità, visione, determinazione, pace, serenità, gratitudine, comprensione delle dinamiche sottili, il perché della nascita e della morte. Vi sembra poco? È un tesoro inestimabile, la gemma preziosa da seguire. In questi giorni abbiamo avuto la possibilità di riflettere anche su questi punti. 

Il viaggio, per alcuni di noi, sta pressoché terminando, per altri continuerà con una nuova destinazione, una nuova dinamica, altre relazioni, in un fluire continuo, con persone che vanno e persone che vengono, perché così è la vita e possiamo davvero viverla nella consapevolezza lasciando andare l’attaccamento.

Andrea Boni