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Himalaya - Diario del 26 agosto

L'arrivo

Siamo arrivati a Delhi. Ad accoglierci ci sono subito i segni della cultura tradizionale dell'India: nella hall dell'aeroporto ammiriamo la riproduzione in rame di 12 mudra della conoscenza e della devozione. Fuori dall'aeroporto vediamo un cantiere in corso, costruzioni che lo scorso anno non c'erano.
La continua trasformazione dell'India è sotto i nostri occhi. Mentre stiamo uscendo dalla città di Delhi a bordo del pullman che ci porterà a Rishikesh incontriamo un primo grande tirtha o luogo sacro, il fiume Yamuna che lambisce la città, descritto nelle scritture sacre indovediche come uno dei luoghi più sacri dell'universo.

I segni del sacro trionfano, ma sono molto visibili anche i segni della progressiva e sempre più rapida occidentalizzazione dell'India. Stiamo attraversando la città di Delhi e sulle strade non abbiamo ancora visto neanche una mucca, simbolo sacro di questa cultura, in cui essa viene tradizionalmente rispettata e onorata come una delle sette madri. In viaggio da Delhi verso Rishikesh, Marco Ferrini (Matsyavatar Prabhu) ci introduce al senso del nostro viaggio alla ricerca del sacro.

“Lo spettacolo dell'India attrae la nostra attenzione per quanto è pittoresco e paradossale, per quanto è difficile da comprendersi nella sua complessità e nelle sue molteplici contraddizioni, ma ricordiamoci che noi siamo qui non tanto per soffermarci su questo spettacolo multiforme che scuote i sensi, ma per ritrovare le tracce di una cultura spirituale antica che rappresenta una delle più nobili ed evolute espressioni della civiltà umana e che purtroppo sta sempre di più scomparendo nella misura in cui avanzano edonismo e consumismo.

Noi siamo qui per andare oltre lo spettacolo delle percezioni sensoriali. Siamo qui per fare il viaggio dell'anima, per ricercare il senso più profondo della vita. La strada che stiamo percorrendo è quella che porta alle pendici dell'Himalaya, nelle città sacre di Haridwar e Rishikesh, ma il nostro vero percorso non è quello che si misura in chilometri, che figura nelle mappe o che si fa sull'asfalto: la strada che desideriamo percorrere è tutta interiore, è la via della coscienza che cerca di risvegliarsi alla Realtà. Il viaggio è spostamento ed anche tras-formazione, dunque la forma, se il viaggio va a buon fine, si deve modificare. E di quale forma stiamo parlando? Della nostra forma interiore, quella che ci rappresenta intimamente e con cui guardiamo a noi stessi, agli altri, al mondo, alla vita.

La scoperta di noi stessi dovrebbe essere lo scopo di questo viaggio. In noi dovrebbe insorgere la seguente riflessione: che cosa dovrebbe essere prioritario nella mia vita? Che cosa è urgente distinto da che cosa è importante? Il viaggio è appena iniziato, ma ponetevi subito questa domanda, cercando la risposta in quella matrice spirituale che costituisce la nostra essenza e che rappresenta il punto di osservazione più intimo di cui disponiamo, purtroppo troppo spesso oscurato dalla presenza ingombrante della mente condizionata e dell'ego. Il nostro viaggio dovrebbe servire a trasferirci dalla percezione dell'ego a quella dell'anima”.

Mentre sulla strada vediamo bambini che vendono pannocchie di mais ai passeggeri degli autobus, il nostro Maestro continua ad introdurci al nostro viaggio.

“Una chiave di lettura indispensabile per comprendere l'animus indiano è il concetto di dharma. Il dharma è l'ordine cosmo-etico che governa tutto ciò che esiste. Quando si perde il contatto con il dharma, si attiva un processo entropico distruttivo. Ciò che prima era brillante diventa opaco, ciò che prima era luminoso diventa buio, crepuscolare, tenebroso. Quel che prima era pietà diventa empietà. Quel che prima era ispirazione diventa disperazione, quel che era pace diventa conflitto; i sogni cessano di realizzarsi, degenerano e diventano incubi. Questo nome, dharma, scrivetelo nei vostri quaderni, sulla sabbia alle rive dei fiumi sacri, ma soprattutto scrivetelo nei vostri cuori, cercando di comprendere qual è il vostro dharma, quali sono le vostre caratteristiche irrinunciabili. Tutte le volte che ne smarriamo una, diventiamo ansiosi e irrequieti fintanto che non ne riprendiamo consapevolezza”.

Il viaggio prosegue. Ci vengono i brividi al pensiero che la strada che stiamo facendo è stata percorsa in miliardi di anni da innumerevoli persone che andavano a cercare il loro dharma sull'Himalaya, in luoghi speciali e di grande valore per la trasformazione evolutiva del genere umano. In quei luoghi Dio è apparso, è vissuto, ha impartito insegnamenti e ha giocato con i Suoi devoti, e in quei luoghi numerose anime realizzate hanno continuato a trasmettere quei grandi insegnamenti che avevano ricevuto per rivelazione divina.

La strada che desideriamo percorrere è quella per ritrovare la pace, il contatto con Dio, per risvegliare la coscienza sopita, per contemplare la realtà ben oltre il mondo delle apparenze, per realizzare la devozione per Creatore, creato e creature. Quella devozione (bhakti) costituisce la facoltà fondamentale di ogni essere, il sentimento sorgente della nostra gioia.

Nell'intimo del nostro cuore esprimiamo questo desiderio: “Che questo viaggio ci conduca a quella devozione, alla luce dell'anima”.

Matsyavatar Prabhu prosegue con una riflessione tra mito e storia, tra storia e metastoria, tra terra e cielo. “Se non prendiamo coscienza del nostro centro coscienziale, anche se conquistassimo grande potere nel mondo, vivremmo comunque nella sofferenza, in un deserto relazionale. Allo stesso modo, se volessimo fare una fuga nello spirito trascurando gli impegni e i doveri presi nel mondo, non potremmo realizzarci. Siamo esseri di terra e di cielo. Abbiamo bisogni immanenti da soddisfare, che se rimangono irrisolti producono pericolose nevrosi, ma allo stesso tempo aneliamo in maniera irrinunciabile all'immortalità, alla sapienza, alla beatitudine, all'amore puro”.

Ci stiamo avvicinando sempre di più alla nostra meta. Il paesaggio si fa sempre più verde, sempre più bello. Ci sembra di entrare in un altro mondo. A 25 km da Rishikesh vediamo per la prima volta il grande fiume sacro: Ganga Mayi, e di fronte un'imponente gigantesca statua di Shiva che concede le sue benedizioni. Subito dopo scorgiamo le prime montagne della catena himalaiana e cominciamo a salire.Per predisporci a comprendere la realtà spirituale oltre il mondo visibile, quella che permette anche a ciò che si vede di esistere e di avere un senso, offriamo un canto di lode al Signore per la nostra protezione.

“Che questa preghiera sia di buon auspicio, mangalam, per il viaggio che stiamo intraprendendo. Che la pace, la serenità, la visione spirituale, la misericordia, la compassione scendano su tutti noi, che ci rafforzino, che ci diano nuova vita e permettano ai nostri occhi di vedere veramente”. Con questa intenzione nel cuore, cantiamo tutti assieme la preghiera a Shri Nrsimha Deva e poi dolcemente il Mahamantra Hare Krishna.

Verso sera arriviamo in albergo.